giovedì 1 luglio 2010

Qualche considerazione sulla cosiddetta "immigrazione regolare" (Parte 1)

All'inizio degli anni '60 in Italia arrivò il boom economico. Questo processo non coinvolgeva in modo uniforme tutto il paese: il Nordest continuava ad essere a livelli della Calabria. Per evitare di continuare a mangiare solo fagioli e polenta ogni giorno molte persone nei nostri paesi fecero la valigia ed emigrarono all'estero in cerca di miglior fortuna. Tra questi c'erano anche i miei genitori. Mio padre (falegname) e mia madre (sarta) erano stati "raccomandati" da un loro compaesano che lavorava da qualche anno in Svizzera. In cosa consisteva la "raccomandazione"? I titolari delle aziende che intendevano assumere i miei, fornirono loro un contratto di lavoro (scritto) e un'abitazione (sempre tramite contratto scritto). Una volta arrivati alla frontiera i miei si presentarono alla polizia doganale svizzera con passaporto valido e con questi due documenti che, come potete intuire, significavano:
1) ho un lavoro che mi consente di mantenermi;
2) ho una casa nella quale posso vivere.
La polizia doganale faceva alcuni controlli sullo stato di salute degli immigranti e rilasciava il nulla osta per l'ingresso nella confederazione.
Una volta arrivati a destinazione i miei furono assegnati ad un giudice tutelare che una volta all'anno si sarebbe accertato che avessero rigato dritto.
Dopo otto anni le autorità federali inviarono una lettera a mio padre scrivendo che, se avesse voluto, avrebbe potuto iniziare le pratiche per ottenere la cittadinanza elvetica. Nel frattempo mia madre era rientrata in Italia perché ero nato io. La legge svizzera (giusta o ingiusta che fosse) parlava chiaro ("sei qui per lavorare e lavori") e non le consentiva di accudirmi.
Sicuramente alla Svizzera mantenere un apparato formato da poliziotti, giudici e burocratici vari deve essere costato non poco, ma probabilmente a conti fatti i benefici (le tasse incassate) per aver generato un meccanismo virtuoso "lavoro-immigrazione-crescita economica" sono stati nettamente superiori.
Teniamo conto anche che lo svizzero medio è una persona tutt'altro che tollerante nei confronti dello straniero (infatti a Berna la maggioranza relativa è di un partito equivalente alla nostrana Lega Nord) ma questo meccanismo ha consentito di avere fino ad ora ricchezza, alta immigrazione (circa il 22% dei residenti in Svizzera è straniero) e una relativa pace sociale.
Riassumendo in breve la ricetta per essere un buon immigrante pare essere:
1) avere un documento di identità valido;
2) avere un lavoro;
3) avere una casa;
4) un'autorità che ti segua negli adempimenti burocratici.
Gli ingredienti sono anche altri, ma diciamo che per far riuscire bene la torta questi sono (grosso modo) quelli fondamentali.
In un prossimo post illustrerò un esempio concreto di mancato uso degli ingredienti giusti e delle sue conseguenze.

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