Da Ottobre farò parte della diaspora italiana all'estero. Metto subito le mani avanti e mi tiro fuori dalle definizioni di "cervello in fuga", "l'Italia non è un paese meritocratico", "l'Italia è un paese ingessato che fa fuggire i giovani". Giovane io? A 44 anni suonati, da buon italiano medio, dovrei essere, in questa calda serata tardo estiva, a Lignano in qualche "location" con uno spriz in mano ad occhieggiare alle figliole che si apprestano ad affrontare la nottata nelle discoteche del luogo. Altro che a stare davanti al PC!
E' stata un'occasione professionale offertami in un luogo amato dalla mia famiglia e me ed era difficile dire di no.
Ma è chiaro che se uno sta bene in un posto non prende e se ne va all'estero. L'emigrazione non è mai la normalità. Mai. Sei nato, cresciuto e vissuto per molti anni in un posto, e i luoghi, i paesaggi e le persone ti hanno plasmato in un certo modo: è casa tua. Per quanto tu non sopporti come vadano le cose è comunque il luogo dove puoi rifugiarti. Sono un ascoltatore della trasmissione "Giovani Talenti" su Radio24. La trasmissione è dedicata al racconto in prima persona dei giovani under 40 espatriati sui motivi di questo loro espatrio. All'immancabile domanda del presentatore Sergio Nava: "Ritornerai?" lo sento bene il tono dell'amante deluso, tradito dal proprio paese. Sono convinto che, in fondo, tutti vorrebbero tornare se fosse loro consentito.
Ma per loro non c'era alternativa: o andare all'estero o vivere nel limbo mantenuti dai genitori. Il mio caso è diverso. Io sono stato fortunato: sono stato tra i primi a salire a bordo dell'industria informatica che all'inizio degli anni '80 cominciava a viaggiare come un treno che non si sarebbe più fermato (a differenza di quasi tutto quello che c'è di industriale nel nostro territorio: mobili, elettronica, elettrodomestici,...). Ho sempre lavorato e anche in questi ultimi tre anni di crisi nera. Ho mutuo, moglie e due figli. Potevo restarmene dov'ero.
Nel momento in cui pubblicherò questo post saranno in pochissimi a sapere che me ne vado. Lo sanno solo mia moglie, i miei colleghi e qualche ex-collega: i miei genitori, i miei parenti stretti, i miei amici, persino i miei bambini non sanno nulla. Immagino già la pioggia di critiche, perplessità (forse anche invidie), ma lo so bene che nei primi tempi ci saranno solo lacrime e sangue: vado in terra di lingua tedesca (che conosco poco) a lavorare per un'azienda americana (nella quale ovviamente si parlerà solo inglese) senza il supporto di mia moglie (che il tedesco lo parla bene).
Cosa è successo dunque? Semplicemente dopo quasi vent'anni di lavoro ho capito che l'Italia e io viviamo come due separati in casa. Ho la sensazione che qui, ormai, si sia giunti al capolinea in tutti i sensi: la coesione sociale se n'era già andata da almeno un decennio, la crisi economica sta dando la mazzata finale.
Ciò che più mi fa paura è l'assenza di una visione del futuro che più o meno tutti condividano. Questo ci consentirebbe di uscire prima dalla crisi e potrebbe dare un futuro a chi ci segue anagraficamente. Ma di tutto ciò neanche l'ombra.
A mio parere qui non vedremo mai le scene delle rivolte nordafricane o spagnole: pian piano il Titanic italico affonderà e chi potrà salterà sulle poche cose che galleggiano: politicamente ci aspetta qualcosa tipo il Belgio e, più in là, ci sarà il ritorno alle Signorie (che sono l'unica innovazione politica generata da noi genti italiche). Ovviamente non ho la sfera di cristallo e potrei anche sbagliarmi (spero di sbagliarmi). Magari c'è un futuro radioso dopo che questa classe dirigente (semplicemente mostruosa) avrà deciso di mollare l'osso.
Cara Italia, credo di essere stato un buon cittadino rispettoso delle tue leggi e di quanto c'è di buono nell'italianità. Da te ho avuto molto (scuole, università, lo spirito veneto/friulano,...). Ho sempre ricambiato facendo quanto le leggi, giuste o ingiuste, mi hanno chiesto di fare. Niente di particolare: lo fa ogni cittadino onesto. Ma l'onestà o sta da tutte e due le parti o il contratto sociale si rompe e io non posso ritenermi più vincolato. A questo punto o divento "fuorilegge" o vado altrove. Preferisco andare altrove senza combattere. Sarà una vigliaccheria andarsene senza combattere, ma io sono un tecnico e ho bisogno di un certo humus dove poter crescere, prosperare e far prosperare: qui sta diventando sempre più difficile. Non sono né un politico né un partigiano: le "lotte sociali" le lascio fare a chi ne ha la vocazione e la forza.
Auf wiedersehen Italien. Oggi così, più avanti chissà: potremo anche reincontrarci. Il primo banco di prova sarà il modo di guidare le auto degli italiani: la strada è il miglior test per capire quanto è migliorata la socialità in questo paese.
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