martedì 23 dicembre 2008

Una buona spiegazione per questo paese "a remengo"

Il seguente post dal titolo "Il libro - De responsabilitatae" è tratto dal blog http://www.americotaliano.it/


"Quando ho sentito parlare di indulto la prima cosa che ho pensato non è stata se era giusto oppure no, se esistevano delle motivazioni politiche oppure di principio o di necessità: rimanendo mio malgrado un ingegnere la deformazione professionale ha preso il sopravvento. Il mio primo pensiero è stato quindi "se le carceri sono sovraffollate e si trovano costretti in parte a svuotarle attiveranno in parallelo un riordinamento del sistema giudiziario (se ci sono troppe persone in carcere che non ci dovebbero essere) oppure la costruzione di nuovi carceri". Altrimenti fra qualche anno ci troveremo a ripetere questa farsa umiliante ed indecente per uno stato sovrano.


Immaginatevi la mia sorpresa quando registro che tutte le accesissime discussioni si concentrano sul "si fa o non si fa" ma che nessuno, a cominciare dal governo in carica, si preoccupa di offrire una soluzione completa al problema che includa cioè anche i passi necessari perchè questo non si ripeta più. Se come cittadino devo inghiottire il pillolone, dammi almeno la consolazione di sapere che è l'ultimo pillolone di questo tipo che inghiotto.


Niente da fare. Il problema indulto viene gestito in modo pessimo, così come malamente vengono spesso approvate leggi sulla carta più che degne ma complesse operativamente o troppo costose da attuare (e quindi, spiace dirlo, sbagliate). Quando chiedo agli amici: “Ma chi ha proposto un legge del genere? Non gli hanno fatto la pelle nelle elezioni successive?”, la loro reazione è “Ma quella legge è stata votata dal parlamento, cioè da noi, e ce ne assumiamo la responsabilità collettiva”. Al che io insisto: “Si, va bè, ma il parlamentare firmatario dovrà assumersi le sue responsabilità di fronte agli elettori”. Silenzio totale da parte loro e sguardi a fuoco su infinito. La loro reazione è come se avessi detto “ut jhdioa jskji jk jdumspa jsyjwn hstnejoan bbvvuaj”. Non capiscono proprio. “Responsabilità di fronte agli elettori?” Mi spiegano che, data la storia italiana, il sistema elettorale, etc etc, di responsabilità di fronte agli elettori per il tuo comportamento da senatore o deputato proprio non se ne parla. Si può parlare di responsabilità di partito. Ma di responsabilità individuale, questo proprio no. Quando succede fa la prima pagina dei quotidiani.


A quel punto mi rendo conto che, in effetti, durante le interviste in televisione, una frase molto popolare — detta con tutta la gravità del caso — e' "... e di questa decisione se ne prende carico il partito, assumendo la piena responsabilità di fronte agli elettori".


Scopro a questo punto che la scarsa sensibilità verso il concetto di responsabilità individuale non si ferma alla classe politica. Al contrario, sembra essere abbastanza diffusa attraverso ampi settori della società e della economia.


Mi accorsi del problema quando, di fronte ad un pasticcio combinato dal mio gruppo nell'azienda in cui lavoravo appena giunto in Italia, decisi di andare a fondo della cosa. Convocai quindi i miei più stretti collaboratori ─ come si dice in managerialese ─ e dissi press’a poco questo: “Gente, voglio che facciamo una analisi precisa” ─ si chiama ‘post-mortem’, altro managerialese terrificante ─ “di quello che è accaduto perchè nonostante tutte le mie raccomandazioni, nonostante il fatto di avervi sensibilizzato al fatto che dopo aver sbagliato due volte un terzo errore nella medesima situazione non era più accettabile, dopo aver ricontrollato con voi il processo di gestione del problema, abbiamo sbagliato di nuovo. A questo punto è evidente che c’è del menefreghismo e mancanza di professionalità da qualche parte. Desidero che venga identificato quindi all’interno di uno dei vostri gruppi il responsabile di questo pasticcio per nome e cognome”.


Percepii del nervosismo improvvisamente intorno al tavolo. Ebbi la sensazione di essermi addentrato in territori inesplorati, tipo viaggiatore fenicio che da perfetto imbecille sta scammellando dentro al Sahara ma si è dimenticato a casa la mappa con scritto a caratteri cubitali HIC SUNT LEONES proprio dove il cammello lo sta portando.


Il più anziano del gruppo, dopo un colpetto di tosse e con qualche imbarazzo, mi disse: “Cerchiamo di risolvere il problema senza personalizzazioni, mi sembra più efficace”. Lo guardai e risposi: “Questo lo abbiamo già fatto la prima volta, poi una seconda volta. Adesso ho bisogno di sapere chi ha sbagliato”. Un altro dei miei collaboratori mi chiese immediatamente dopo: “Ma perchè vuoi sapere chi ha fatto la scemenza?” Lo guardai sconcertato e dissi con totale (finta) ingenuità: “Ma perchè lo voglio punire”.


Immaginatevi ora di entrare in chiesa. C'è la messa di mezzanotte di Natale. Percepite l'odore dell'incenso, la serenità, il raccoglimento dei fedeli, la spiritualità che tutto circonda. Ora pensate al momento in cui il sacerdote alza il Santissimo: bene, voi saltate in piedi e cominciate a gridare oscenità a voce altissima. Poi vi tirate giù i calzoni, vi girate, e mostrate la natiche bianche bianche. Tutti i fedeli incluso il prete si voltano verso di voi. Memorizzate le loro facce.


Erano le stesse identiche facce che avevo davanti io appena finito di dire “… punire”. Scoprii allora che in Italia la punizione è tabù. Non sarà reato ma poco ci manca.


Notate bene che la mia punizione sarebbe consistita (a) nello spiegare al colpevole il perchè aveva sbagliato, (b) nell’assicurarmi che non esistevano condizioni che in un futuro lo portassero a sbagliare ancora al ripetersi delle stesse, e (c) nel comunicargli che il suo bonus di fine d’anno di tremila euro era stato ridotto a duemila. La ritenevo una cosa mite, professionalmente utile alla crescita della persona, e comunque da tenere tra me e lui (o lei, non siamo sessisti).


Follia. Non solo non esiste il concetto di punizione, c’è molto di peggio in gioco. Molto, ma molto peggio. Guardatevi attorno, considerate le vostre attività quotidiane e mi darete ragione. Non è un problema relativo all’industria ma culturale. Ed infatti è endemico. Il problema è questo: l’organizzazione della società e dei processi che la regolano è fatta in modo che diventi estremamente difficile identificare le responsabilità nel caso le cose non funzionino. E questo viene implementato anche in industria, ma semplicemente in quanto specchio della società e della cultura che pervade quest'ultima.


Per anticipare il finale della mia piccola crisi lavorativa: decisi di dedicarmi a tempo quasi pieno alla ricerca del responsabile o della responsabile, perchè era importante dare l’esempio alla mia organizzazione che non esistono solo i premi per quelli che lavorano bene e con coscienza ma esistono anche i rimbrotti (chiamarle punizioni, lo ammetterete anche voi, è in realtà eccessivo) per quelli che si comportano con menefreghismo e mancanza di senso del dovere. Dopo qualche settimana di intenso lavoro investigativo mi trovai a galleggiare in un lago di sabbie mobili in cui le responsabilità per l’accaduto erano diffuse, variegate, multicromatiche, inafferrabili. Nessuno aveva sbagliato. La procedura da seguire, che sembrava a prova di bomba, era stata scardinata da decine di creative postille, aggiunte non documentate, e così via. Mi sentii molto come uno di quei giudici che avevano investigato su Piazza Fontana: ombre, depistaggi, mezze verità, deviazioni involontarie, deviazioni pianificate, bugie evidenti ma non provabili, e così via.


Esausto, ma veramente esausto, decisi di desistere.


Negli Stati Uniti le cose funzionano molto diversamente. Il concetto di responsabilità individuale è fortissimo, inculcato fin dalla nascita. La società attorno a te (quindi la TV, i genitori, i compagni, la scuola) sono tutti assolutamente allineati sul fatto che tu sei padrone del tuo destino. Dato che gli Stati Uniti sono, per definizione totalmente acritica ed ipocrita, ma condivisa dalla stragrande maggioranza degli abitanti, “the Land of opportunities”, se alla fine della tua vita l’opportunità non l’hai colta ─ bello mio ─ è solo colpa tua. E qui comincia il lato oscuro della cultura americana della responsabilità individuale.


Si assistono quindi a scene tristissime di disgraziati in condizioni miserabili intervistati alla televisione che danno solo colpa a loro stessi per essere ridotti così. Tipo: “Sono nato in una famiglia con quattordici sorelle e fratelli. Mio padre scappò alla nascita del primogenito. Mia madre, alcolizzata cronica, ebbe gli altri tredici figli da tre uomini diversi. Sono andato a scuola solo per quattro anni perchè avevo bisogno di lavorare. Peccato che nessuno mi voleva dare lavoro con la famiglia che avevo. Ho passato il resto della mia infanzia per strada, rivendendo siringhe usate ai drogati per sfamare i fratellini e le sorelline. Sono diventato cocainomane a dodici anni e ho passato ventiquattro degli ultimi trent’anni in galera. Adesso vivo sotto i ponti e ho la sifilide ma lo stato in cui sono ridotto è solo colpa mia. Questa nazione ti da il modo di uscire dalla miseria, solo che io non ne ho avuto la forza e la determinazione per approfittarne”.


Immaginatevi una cosa del genere interpretata con filosofia italica. Lascio al lettore di completare il compitino.


Perchè questa filippica sul senso di responsabilità dell’individuo in America quando stavamo parlando di lavoro in impresa? Perchè i due argomenti sono ovviamente correlati. L’Americano si porta questo senso (e pesante fardello, sia ben chiaro) di responsabilità individuale in azienda. Quindi ammette il concetto di “colpa” di fronte ad un errore. Quindi non lavora per minare o boicottare quei processi industriali che hanno, assolutamente non come obiettivo primario ma come secondario, la capacità di identificare colpe a posteriori quando qualcosa non va bene. Il buon manager manda sempre il messaggio alla sua organizzazione che “sbagliare in buona fede e mettendoci tutto l’impegno non è grave, nascondere l’errore è inaccettabile”. Questo perchè nascondendo l’errore non si può migliorare il processo, e quindi l’errore si ripeterà.


Questo non significa che nella mia carriera negli Stati Uniti non abbia incontrato paraculi e imboscati, ci mancherebbe altro. Tutto il mondo è paese, ma certi paesi sono molto più mondo degli altri. Purtroppo la nostra storia sembra assicurarci una media di questi soggetti più alta, con tutti i risvolti dolorosi del caso. L’arte del gestire il proprio ruolo in azienda in modo tale che, se qualcosa va storto, si abbia quello che un americano chiamerebbe “plausible deniability” (tradotto in una perifrasi che suona press’a poco come “essere in grado di negare la responsabilità per l’accaduto con motivazioni apparentemente plausibili”) ha trovato sicuramente in Italia terreno fertile.


Perciò, concludendo: dato che non c'è responsabilità individuale, ma la responsabilità è del partito, del sindacato, della società, della famiglia, dell'oratorio, della divisione trita-rifiuti celtici, del circolo bocciofilo subacqueo, e via dicendo, è di conseguenza legittimo asserire che noi italiani siamo un popolo di santi che ogni tanto si imbattono in cattive compagnie."

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